Ferite che non si chiudono risolte con l'ozonoterapia
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Capita sempre più spesso di trovare persone che sono andate in ospedale per un intervento chirurgico e sono tornate a casa con pericolose infezioni che gli antibiotici non riescono a debellare.
Un problema, quello dell’antibiotico resistenza, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) segnala come una delle più gravi minacce per la salute mondiale.
Per quanto riguarda l’Italia, i dati raccolti dal Ministero della Salute parlano di circa 10 mila morti l’anno causati dall’antibiotico resistenza.
Questi dati sono confermati dallo studio Attributable deaths and disability-adjusted life-years caused by infections with antibiotic-resistant bacteria in the EU and the European Economic Area in 2015: a population-level modelling analysis, pubblicato su “The Lancet” nel novembre del 2018.
E i medesimi dati trovano conferma nel rapporto di sorveglianza Bloodstream infections due to carbapenemase-producing Enterobacteriaceae in Italy: results from nationwide surveillance, 2014 to 2017, pubblicato su “Eurosurveillance” alla fine di gennaio 2019.
L’antibiotico resistenza è diffusa in tutto il territorio italiano e coinvolge principalmente soggetti maschi con più di 60 anni di età (71%), ospedalizzati e ricoverati nei reparti ad alta intensità di cura (87,2%), spesso come conseguenza di procedure mediche invasive.
Di fronte a questa emergenza, il Ministero della Salute ha appena emesso una circolare intitolata “Sistema nazionale di sorveglianza sentinella dell’antibiotico-resistenza (Ar-Iss) - Protocollo 2019”, che aggiorna il precedente Protocollo del 2001.
Secondo quanto riportato dal “Portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica a cura del Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità” (www.epicentro.iss.it), il nuovo Protocollo include anche un documento che esplicita il set di requisiti minimi che i laboratori di microbiologia che forniscono dati alla sorveglianza devono possedere. Il Protocollo sarà aggiornato annualmente.
Misure necessarie e preventive quelle indicate dal Ministero, ma nulla si dice su un eventuale piano di cura in grado di sconfiggere l’antibiotico resistenza.
Negli ambienti medici, e anche politici, è stata ventilata l’idea di utilizzare l’ossigeno ozono terapia come soluzione per l’eliminazione dei batteri resistenti e come coadiuvante per rafforzare l’efficacia degli antibiotici.
Per raccogliere una testimonianza sull’efficacia dell’ossigeno ozono terapia, abbiamo intervistato il signor Armando Brambilla, il quale, dopo aver subito un intervento cardiochirurgico, aveva una ferita di 25 centimetri che non si rimarginava, un’infezione che non guariva nonostante l’uso ingente di antibiotici e che stava diventando pericolosa.
Ci ha raccontato il signor Brambilla:
«Durante un controllo medico hanno trovato le mie coronarie ostruite. Si è reso necessario l’intervento chirurgico. L’operazione è andata bene e solo due settimane dopo mi hanno dimesso. È successo però che la ferita di 25 centimetri che avevo sul torace non si rimarginava, non guariva e si stava infettando.
Ho fatto i tamponi e una continua cura a base di antibiotici. Finché i medici hanno deciso di intervenire per togliermi i punti sternali pensando che erano quelli che creavano l’infezione. Ho subito un’altra operazione, mi hanno tolto i punti, ma a distanza di quindici giorni la ferita si è riaperta, mostrando evidenti segni di infezione.
A quel punto il chirurgo ha deciso di fare un’altra operazione dicendo: “stringiamo bene i lembi muscolari così che la ferita possa rimarginarsi”. Dopo questo terzo intervento si è riaperta anche la ferita interna.
Dopo sei mesi di questo calvario in cui le ferite non si rimarginavano, l’infezione non veniva debellata e sullo sterno si era creato un vero e proprio buco, i medici disperati mi hanno proposto come ultima spiaggia di provare con la V.A.C. Therapy, una tecnica complicata che necessita di un addestramento e di dispositivi particolari.
Per fare la V.A.C. Therapy avrei dovuto riaprire tutto, ritagliare la ferita e mettere una spugnetta con la pompetta che dovevo portare in giro tutto il giorno.
Insomma era una prospettiva complicata, difficile da praticare, fastidiosa e con nessuna certezza di guarigione.
Non avendo alternative, mi sono rivolto al dottor Flavio Torresin, che praticava la V.A.C. con buoni risultati.
Quando ha visto le condizioni in cui ero, il dott. Torresin mi ha detto molto francamente che la guarigione si prospettava difficile e che era meglio provare con l’ossigeno ozono terapia. Questa indicazione è stata la mia fortuna.
Ho chiesto ad amici medici e ho cercato in rete il luogo più vicino dove praticare l’ossigeno ozono terapia. Mi hanno consigliato di andare dal prof. Marianno Franzini. Ho fissato l’incontro. Il prof. Franzini mi ha visitato con molta cura e, in base alla sua esperienza maturata attraverso la cura di numerosi pazienti affetti da infezioni, mi ha detto che si poteva tentare. L’ossigeno ozono avrebbe potuto abbattere l’infezione e far rimarginare la ferita. E così è stato: una guarigione straordinaria!
Fin dalle prime sedute con l’ozonoterapia la ferita ha cominciato a rimarginarsi e io mi sentivo più tonico. Ho più di settant’anni e devo dire che, oltre a guarire in maniera definitiva la ferita, l’ossigeno ozono ha avuto anche un forte effetto rigenerante. Adesso mi sento bene, ancora meglio del periodo precedente all’intervento alle coronarie. Sulla base della mia esperienza, consiglio a tutti l’ozonoterapia».
Articolo SIOOT estratto dalla seguente pagina internet:
http://www.ossigenoozono.it/IT/News/3419/La_ferita_non_si_chiudeva_e_stava_diventando_pericolosa_poi_con_l’ozono